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  • mercoledì 7 maggio 2025

Spagna, il voto premia l’instabilità e l’ultradestra

La partita giocata dal partito socialista in Spagna non ha dato il risultato sperato: il ritorno alle urne voluto da Pedro Sanchez (nella foto)  non solo ha visto il suo partito perdere consensi rispetto allo scorso 28 aprile (crica seicentomila voti in meno), ma di fatto rende assai più difficile al premier uscente formare un esecutivo in grado di superare la fiducia della Camera – per non parlare poi di governare il Paese.


L’esito del voto infatti vede il possibile blocco di sinistra Psoe-Unidas Podemos scendere da 167 deputati a 158, compresi i tre della nuova formazione Màs Paìs, nata da una costola del partito di Pablo Iglesias; la maggioranza assoluta, sei mesi fa praticamente a portata di mano, è lontana una ventina di seggi – praticamente irraggiungibile. Né Sanchez può consolarsi con l’obbiettivo di minima (anche se non pochi dei dirigenti del suo partito lo considererebbero il più importante), ovvero quel crollo della sinistra radicale di UP (che perde consensi ma tutto sommato resiste) che avrebbe restituito al Psoe il tradizionale ruolo egemonico nel suo spazio politico.


Di contro, complice anche un calo dell’affluenza del 6% rispetto ad aprile (anche questo prevedibile, malgrado gli appelli al voto utile, al quarto voto di fila) la destra guadagna qualche seggio ma rimane anch’essa lontana dalla maggioranza assoluta: il Partido Popular di Pablo Casado può gioire per la ventina di deputati in più, ma anche in questo caso il sogno di un ritorno al bipolarismo appare sempre più come un miraggio: il Pp ha semplicemente scambiato un rivale interno per un altro, con il crollo di Ciudadanos (quasi una cinquantina di seggi perduti) compensato dal successo di Vox, che diventa addirittura terza forza in Parlamento con 52 deputati.


Le altre formazioni mantengono sostanzialmente i risultati precedenti: Erc vince in Catalogna davanti ai socialisti del Psc, senza che gli indipendentisti perdano consensi, anzi (23 seggi sui 48 disponibili, uno in più rispetto ad aprile, mentre i tre partiti della destra ne conquistano in totale sei, uno in meno e tutti a Barcellona); altrettanto vale per i partiti baschi, che conquistano un altro seggio ciascuno – e tenendo conto del fatto che alle elezioni politiche queste formazioni tendono ad ottenere risultati peggiori che non alle regionali.


Come dunque prevedibile – ma evidentemente non da Sanchez o dagli strateghi del Psoe – lo scenario rimane sostanzialmente invariato: un blocco reciproco aggravato dalla crisi catalana che rende quasi impossibile trovare la chiave per un esecutivo di coalizione (o persino di minoranza), una soluzione alla quale peraltro la politica spagnola, a livello nazionale, si è fin qui dimostrata più che allergica. Oggi Sanchez si ritrova quindi con la maggioranza relativa e con la prospettiva di un nuovo incarico, ma con una posizione negoziale molto più debole di sei mesi fa e senza troppe vie di uscita: un ennesimo ritorno al voto quasi certamente a questo punto darebbe la vittoria alla destra.


 


 

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