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  • mercoledì 30 aprile 2025

Lettera piena di accuse alla Regione Lombardia dai gestori delle residenze per anziani e disabili

In una lunga e dettagliata lettera al presidente della Regione Lombardia, i presidenti degli enti gestori lombardi delle residenze per anziani e disabili (Rsa, Rsd e Css) denunciano contraddizioni e mancanze della stessa Regione Lombardia nella gestione dell’emergenza Coronavirus nelle strutture sociosanitarie e chiedono l’urgente istituzione di un Tavolo di lavoro comune. Con oneri, anche organizzativi, sull’effettuazione dei tamponi che, avvertono, la Regione deve assumere “immediatamente”, altrimenti ne verranno informate “le autorità competenti”. Il modo di agire di Regione Lombardia sulla gestione dell’emergenza COVID-19, secondo i gestori, “ha fatto emergere le vulnerabilità di un sistema che ancora non considera in modo appropriato i bisogni delle diverse fragilità”.


I presidenti di Agespi, Anaste, Aris, Arlea, Anfass, Aci Welfar e Uneba, che firmano la lettera, chiedono tra le altre cose che “Regione Lombardia, per il tramite dei Dipartimenti di prevenzione delle Ats, si faccia carico, come di sua competenza, della sorveglianza sanitaria di ospiti e operatori, provvedendo al più presto a: 1. effettuazione di tamponi e test sierologici a tutti gli ospiti e a tutti gli operatori di RSA e RSD, così come agli operatori di tutte le altre tipologie di strutture sociosanitarie, compresi quelli in quarantena e che potrebbero tornare a lavorare, omogeneizzando le comunicazioni indirizzate agli Enti e limitandosi a chiedere loro la trasmissione dei nominativi di ospiti e operatori da sottoporre ai test; 2.


effettuare tali indagini con costi a carico del SSN, e non delle singole strutture, e con personale inviato da Regione adeguatamente formato, competente ed esperto. Qualora Regione Lombardia non si assumesse immediatamente tali oneri – si legge nella lettera – saremo costretti a rivolgerci alle autorità competenti per tutelare la salute e la vita di operatori e ospiti, nonché gli Enti gestori, da successive ripercussioni di carattere civilistico e penalistico alle quali il vostro diniego o il vostro silenzio ci potrebbe esporre”.


I gestori delle strutture denunciano confusione e contraddizioni nelle comunicazioni di governo centrale e regione. “In queste otto settimane – scrivono – abbiamo assistito al moltiplicarsi di mail, note, circolari, linee guida, a volte contrastanti tra di loro e/o con le disposizioni del governo centrale o di ritorno su precedenti decisioni o ad interim. Tutto ciò non ha consentito agli Enti di mettere bene a fuoco la situazione e di garantire piena razionalità e permanente continuità nei modi e nei tempi di vigilanza, ad esempio per l’esecuzione di tamponi, né di creare tutti i necessari presupposti al lavoro in sicurezza e a tutela della salute di ospiti e operatori, trovatisi ad affrontare un’infezione assolutamente non rientrante nelle Ica (infezioni correlate all’assistenza)”.


Per i gestori, sono “ad oggi ancora troppe questioni aperte che richiedono un intervento prioritario da parte di Regione Lombardia, non più procrastinabile, che deve essere incentrato sulla reale congiuntura in atto, purché espressa da chi la vive in prima linea piuttosto che su interpretazioni a tavolino o finanche su articoli e servizi dei media”.


Le associazioni chiamano in causa anche il governo, perché si è dovuto procedere “in pressoché totale assenza di un reale piano pandemico, di stretta pertinenza governativa in prima istanza e secondariamente dei governi regionali, e in pressoché totale autogestione, nonostante ripetute sollecitazioni a ricevere maggiore chiarezza e linee di omogeneità territoriale”. Quindi, dicono, “è urgente – che regole e modi di sorveglianza sanitaria di ospiti e operatori tornino in capo alle ATS. È necessario – sottolineano – un immediato piano straordinario di analisi dei bisogni, con alta priorità rispetto ad altri servizi, che porti alla rapida esecuzione di tamponi diagnostici su residenti e operatori, senza che questo compito continui a dover essere assolto da Enti che possono non avere le competenze o le risorse per sostenerlo ulteriormente o per avviarlo”.


Sempre sui tamponi, viene rilevato che “nei giorni scorsi le Ats hanno scritto ai gestori trasmettendo, ciascuna, le proprie procedure di approvvigionamento, effettuazione e processo dei tamponi: procedure molto diverse nei tempi e nei modi, che si sono susseguite rapidamente, spesso contraddicendo e confutando quanto comunicato poche ore prima, fino ad arrivare a comunicare ai gestori la necessità di acquistare a spese proprie i tamponi necessari e prendere accordi con i singoli laboratori per l’effettuazione dell’analisi. In tale contesto la maggior parte delle strutture ha dovuto procedere, fino ad oggi, in pressoché totale autonomia, ma con evidenti difficoltà (reperimento dei tamponi, ricerca dei laboratori, ritardi nell’arrivo dei risultati, difficoltà a gestire le attività di analisi dei contatti e di sorveglianza sanitaria)”.


I gestori delimitano il campo delle loro responsabilità. E citano la delibera regionale dello scorso 30 marzo, che stabilisce che “le reti clinico assistenziali e organizzative di malattie infettive, pneumologia, terapia del dolore e cure palliative sono attivate anche per il tramite delle ATS a fornire supporto alle RSA e RSD”. Nei fatti, dicono, “non si evidenzia il concretizzarsi di tale supporto e si lasciano scoperte le strutture, soprattutto quelle di piccole dimensioni, impedendo nei fatti il corretto approccio clinico e assistenziale verso l’utente”. Inoltre, scrivono, “le RSA e le RSD dovrebbero, ai primi sintomi di patologia acuta, provvedere all’invio negli ospedali degli ospiti attraverso corsie preferenziali e dedicate. Se si ritiene di trovarsi in un periodo di difficoltà generalizzata per cui non è possibile farlo, ne prendiamo atto, diamo la nostra disponibilità entro limiti da concordare insieme, ma certamente non è accettabile che ci vengano attribuite responsabilità a riguardo”.


Infine viene denunciata anche l’emergenza per la carenza di personale, in fuga per la paura dei contagi che ha portato “ad un numero di assenti dal servizio ormai insostenibile; oltre alla morbilità e alla contumacia, accade spesso che alcuni infermieri si dimettano per andare a lavorare in ospedale”, per cui “tutte le strutture sono in gravissima difficoltà. La proporzione di operatori in servizio è ridotta al 40-50% e per altre strutture anche a meno, cioè 25-30.000 operatori (medici, infermieri, ASA/OSS, e altre figure professionali) oggi assenti nella sola rete per anziani e persone con disabilità. La tendenza è verso un ulteriore peggioramento”.


 


 

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