‘Ndrangheta, Cafè de Paris: è caduta nel giudizio d’Appello l’accusa di mafia
C’è un po’ meno ‘Ndrangheta a Roma. I giudici della III sezione penale della corte d’appello della Capitale hanno fatto cadere l’aggravante di associazione a delinquere di stampo mafioso, e poi a cascata tutti i fatti reato contestati per intervenuta prescrizione, nell’ambito del processo sul ‘Café de Paris’, il tempio della Dolce Vita di via Veneto, che secondo i pubblici ministeri era finito in mano all’organizzazione criminale. In forza della decisione dei giudici di seconda istanza sono stati assolti 14 imputati che si portavano dietro condanne per oltre 40 anni.
Quella della Corte d’appello – si aggiunge – è una sentenza che ribalta, di fatto, la decisione del collegio della VII sezione del tribunale, che nell’aprile 2014, aveva riconosciuto la responsabilità di quasi tutti quelli finiti sotto accusa e tratteggiato un quadro delle Cosche entrate in possesso a Roma di numerose attività commerciali come bar e ristoranti. E tra questi anche il famoso locale che negli anni Cinquanta e Sessanta vedeva spesso i flash dei paparazzi.
In particolare le condanne più pesanti erano state inflitte a Vincenzo Alvaro, 7 anni, a sua moglie Grazia Palamara, 4 anni, a Damiano Villari (4 anni e 6 mesi). Per gli altri pene varie, dai 2 anni e 6 mesi ai 3 anni. Stavolta, in appello, la sentenza manda assolto non solo Alvaro, aiuto cuoco al ‘Cafè de Paris’ ed oggi barista al Tuscolano, ma anche tutti coloro che avrebbero fatto parte del sistema.
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