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  • mercoledì 11 giugno 2025

Speciale Sanità & Salute

  


Meningococco B è la causa dell’80% delle meningiti in età pediatrica. Partita la campagna di vaccinazioni


 


Ogni anno in Italia più di 1.000 persone contraggono la meningite e di queste circa una ogni due viene colpita da meningite meningococcica. In particolare il sierogruppo B, oltre ad essere particolarmente aggressivo con altissima letalità, è responsabile da solo di circa l’80% dei casi di meningite in età pediatrica, con una massima incidenza soprattutto nel primo anno di vita, tra il quarto e l’ottavo mese. Più di 1 bambino su 10 sopravvissuto all’infezione da meningococco B perde un arto o è colpito da disabilità neurologica. Più di 1 bambino su 3 presenta altre problematiche cognitive, fisiche e psicologiche. Intanto da un’indagine online condotta lo scorso ottobre da Publicis Spine, su un campione di 1007 genitori con figli nella fascia tra 0 e 15 anni, emerge che 3 mamme e papà su 4 temono l’infezione da meningococco B e 1 su 2 si dice molto preoccupato del rischio. Ma ancora poco si sa in merito alla possibilità di prevenzione.


Per questo prende il via ’MissingB’, la prima campagna nazionale di vaccinazione contro l’infezione da meningococco di tipo B, presentata oggi a Roma in occasione di una conferenza stampa, che vuole stimolare i genitori ad informarsi e ad aderire alla vaccinazione per i propri figli.


L’iniziativa, sostenuta su scala mondiale da GSK, è realizzata con l’autorizzazione del ministero della Salute e il patrocinio del Comitato nazionale contro la Meningite (Liberi dalla Meningite), Sip (Società Italiana di Pediatria), Siti (Società Italiana di igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica), Fimp (Federazione Italiana Medici Pediatri), Fimmg (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale) e Wfpha (World Federation of Public Health Associations). 
La campagna in Italia vedrà protagoniste soprattutto la tv, con un video che ritrae bambini ripresi durante semplici attività quotidiane e che sarà declinato anche per il web e i social, vera e propria ’cinghia di trasmissione’ di un messaggio di salute e benessere. L’obiettivo della campagna di vaccinazione è ricordare quanto previsto dal Piano nazionale di prevenzione vaccinale e quanto riporta il board del Calendario per la Vita: "La vaccinazione contro il meningococco B rappresenta una necessità epidemiologica, ma anche etica e comunicativa, non eludibile".


Ma tornando all’indagine condotta da Publicis Spine, emerge ancora che a porre sul tavolo il problema dell’infezione da meningococco B sono soprattutto la televisione (78%), seguita dai medici (68%), amici e conoscenti (53%). Quando però i genitori si muovono per ottenere informazioni specifiche il referente primo è il pediatra (in 3 casi su 4 e con percentuali superiore all’80% quando si tratta di bimbi da 0 a 6 anni), seguito dal medico di medicina generale (59%) e dall’informazione che viaggia online (43%).
L’analisi della campagna informativa ’MissingB’ da parte dei genitori rivela inoltre che nell’85% dei casi l’iniziativa appare adatta a raccontare il problema. Che ci sia bisogno di una ’scossa informativa’ sul tema è dimostrato anche da una ricerca condotta all’inizio del 2019 su 3600 genitori di bambini tra i 2 e i 10 mesi in diversi Paesi, Italia compresa, con dati rilevati anche su genitori di adolescenti nel Regno Unito e negli Usa. L’indagine ha dimostrato che 1 persona su 2 non conosce lo stato vaccinale nei confronti del meningococco del figlio e che il 60% dei soggetti non è informato sul fatto che esistono differenti sierotipi dei batteri. E ancora: 2 su 3 non sanno che i bambini vaccinati contro specifici tipi di meningococco potrebbero non risultare protetti dalla meningite e 3 su 4 non sono a conoscenza del fatto che il meningococco B è il più comune tipo di batterio circolante.


 


 


Anziani, con Fido in casa cuore più in forma


 


 


 


Una passeggiata al mattino e una alla sera, i giochi al parco, qualche gita fuori porta nel fine settimana. E così Fido diventa un’occasione di benessere e salute: chi possiede un animale domestico ha il cuore più in forma rispetto a chi non ha in casa un quattrozampe. Lo segnalano gli esperti in occasione del 64° Congresso Nazionale della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG), a Roma dal 27 al 30 novembre, indicando che soprattutto per gli anziani un pet può essere un vero alleato per la salute: specialmente chi ha un cane si muove di più, è più attento alla dieta ed è mediamente un po’ più in forma rispetto a chi non ha un ‘peloso’ in casa e questo può diminuire in maniera consistente il rischio di problemi cardiovascolari. 


“Una recente ricerca condotta su quasi duemila persone ha confermato che possedere un animale domestico è positivo per la salute, specialmente se si tratta di un cane – spiega Raffaele Antonelli Incalzi, presidente SIGG – i dati raccolti mostrano infatti che avere un pet porta a modificare in meglio il proprio stile di vita: la necessità di portare a spasso Fido, per esempio, fa sì che il 62% dei padroni faccia una quantità ottimale di attività fisica giornaliera, un altro 29% un movimento comunque sufficiente: chi non ha un cane si muove quanto dovrebbe nel 47% dei casi, arriva a una quantità di moto appena sufficiente nel 35%. Anche l’attenzione all’alimentazione è maggiore in chi deve prendersi cura di un pet: la dieta è ideale o comunque buona nel 91% dei proprietari di un quattrozampe, ma solo nell’83% di chi non ne ha uno. Questo miglioramento dello stile di vita si ripercuote su parametri come la glicemia, sensibilmente migliore nell’84% di chi ha un cagnolino contro l’80% di chi non ne ha uno, oppure i livelli di colesterolo, ottimali nel 45% di chi ha un cane e solo nel 40% di chi non ne ha”. Soltanto il fumo sembra più frequente fra i padroni di Fido, amanti della sigaretta nel 27% dei casi contro il 22%; nonostante questo, tuttavia, i dati mostrano che in generale gli elementi di rischio cardiovascolare sono meno presenti nei proprietari di animali domestici, che in media per esempio hanno un girovita inferiore e sono meno spesso ipertesi. Tenendo conto dei sette parametri per la valutazione del rischio cardiovascolare complessivo indicati dall’American Heart Association, ovvero livello di attività fisica, fumo, alimentazione, indice di massa corporea, pressione arteriosa, colesterolo e glicemia, chi possiede un cane ha perciò un ‘punteggio’ migliore rispetto a chi ha un altro tipo di animale domestico o non ne ha affatto. 


“I cani hanno bisogno di essere portati spesso a passeggiare, per questo sicuramente incidono in maniera positiva con lo stile di vita. I dati confermano peraltro ricerche precedenti secondo cui l’interazione con un cane riduce la pressione negli anziani – osserva Antonelli Incalzi -. Non bisogna poi sottovalutare il benessere psicologico regalato dagli amici pelosi: gli anziani soli possono trovare in un fedele compagno di vita una ragione per uscire di casa ma anche un vero amico, trovando così un senso alle proprie giornate e un antidoto alla solitudine. Gli studi mostrano che gli over 65 che possiedono un cane o anche un gatto soffrono meno di isolamento sociale, hanno minori sintomi di depressione, ansia e deficit cognitivi ma pure un benessere psicologico maggiore e una significativa resilienza di fronte a eventuali disturbi neuropsicologici: un pet è infatti uno stimolo continuo anche per la mente e, se l’anziano è in grado di prendersene cura, ha certamente il potenziale per migliorare il benessere e la salute fisica e mentale del suo padrone”.


 


 


 


Diabetologia d’eccellenza, ma i pazienti potrebbero fare di più


 


 


 


I centri diabetologici italiani continuano a migliorarsi. Aumenta infatti la percentuale di pazienti, seguiti presso le strutture diabetologiche del SSN, a cui vengono controllati: emoglobina glicata, peso, colesterolo, pressione, funzionalità renale, fondo dell’occhio. E aumentano i pazienti che in queste misurazioni raggiungono valori desiderabili per un buon controllo della malattia. Cresce l’impiego dei nuovi farmaci per curare il diabete, diminuisce l’uso delle sulfaniluree (che danno ipoglicemie), mentre è stabile l’insulina. Sei pazienti su dieci accedono ai massimi livelli di qualità della cura. Ma non mancano le “zone d’ombra”: ancora insufficienti i controlli del piede diabetico, pressione fuori controllo per quasi un paziente su due, troppi fumatori e soprattutto troppi obesi, in particolare tra le donne. 


Questi sono alcuni dei dati emersi dall’ultima edizione degli Annali AMD, l’indagine condotta periodicamente dall’Associazione Medici Diabetologi per fotografare la qualità dell’assistenza diabetologica erogata nel nostro Paese. Lo studio, di cui è stata presentata un’anticipazione oggi in occasione del 22° Congresso Nazionale AMD in corso a Padova, ha riguardato 33.172 pazienti con diabete tipo 1 e 462.600 con tipo 2, seguiti presso 255 servizi di diabetologia su tutto il territorio nazionale, pari a più di un terzo del totale. 


“Il 53% del campione ha un’emoglobina glicata ‘a target’ (< 7%), oltre il 63% ha il colesterolo LDL (cattivo) nella norma, ma bisogna ancora lavorare sulla pressione arteriosa e sugli stili di vita; per la prima volta diminuisce la quota di soggetti obesi, ma sono comunque ancora troppi (40%)", illustra Valeria Manicardi, Coordinatore del Gruppo Annali AMD. "Sul fronte dei trattamenti, il 32% dei pazienti con DM2 utilizza insulina, da sola o associata ad altra terapia, l’impiego di sulfaniluree e glinidi scende sotto il 20% e crescono i farmaci più innovativi. Gli inibitori del DPP4 passano, infatti, dal 18% della rilevazione precedente (2016) al 21% di quest’ultima; gli inibitori SGLT2 dal 4 arrivano al 9,6%, mentre gli agonisti del GLP1 salgono solo dal 3,7 al 5,8%. SGLT2i e GLP1-RA hanno dimostrato di proteggere cuore e reni e quindi di salvaguardare meglio la salute delle persone con diabete, pertanto ci saremmo attesi un aumento più consistente. Tra i pazienti con DM1 aumentano quelli che utilizzano i microinfusori, che passano dal 12 al 17%". 


AMD ha pubblicato di recente anche due Monografie dedicate ad analizzare come cambia la qualità di cura a seconda delle singole Regioni e a seconda del genere, sulla base dei dati della Campagna Annali 2018. “Abbiamo osservato – prosegue Manicardi – come le Regioni che hanno aderito con più centri alla raccolta dati (soprattutto al Nord) siano anche state quelle con i migliori risultati di salute: Lazio e Sardegna, in particolare, hanno percentuali più alte di pazienti con emoglobina a target; sul colesterolo invece vanno meglio Piemonte, Lombardia, Friuli, Veneto e Trentino. Relativamente all’utilizzo dei farmaci, c’è ovviamente una grande variabilità che dipende anche dalle diverse possibilità prescrittive vigenti nelle singole Regioni. Per quanto riguarda, invece, le differenze di genere, i dati disponibili non hanno evidenziato un problema di sotto-trattamento delle donne rispetto agli uomini (come segnalato dalla letteratura internazionale) ma, a parità di trattamento, le prime hanno esiti peggiori: sono più obese, hanno un peggiore compenso del diabete e soprattutto un peggiore profilo lipidico – quindi un peggiore profilo di rischio cardiovascolare – oltre a una peggior funzionalità renale. Questo suggerisce che vi siano differenze biologiche e di risposta ai farmaci che dovranno essere approfondite nell’ambito della ricerca”. 


“L’iniziativa Annali da quasi 15 anni traccia l’evoluzione dei profili assistenziali delle persone con diabete, seguite presso i servizi diabetologici italiani”, spiega Nicoletta Musacchio, Presidente di Fondazione AMD. “Dal confronto fra i dati attuali e quelli passati ogni singolo centro può auto-valutarsi e identificare le aree critiche per cui attivare processi di miglioramento. Oggi vogliamo fare un ulteriore passo avanti, proiettando gli Annali nell’era dell’Intelligenza Artificiale, che permette di analizzare database enormi ed eterogenei e di ottenere valutazioni predittive dei fenomeni. L’obiettivo è quello di integrare i dati AMD con gli archivi informatizzati della Pubblica Amministrazione, al fine di sviluppare un modello predittivo dei fabbisogni del SSN. Per chi, come AMD, possiede la cultura della raccolta del dato informatizzato e ha il privilegio di possedere un importante database clinico, procedere al linkage fra il proprio DB clinico e i DB amministrativi (anagrafe, prescrizioni farmaceutiche, prestazioni ambulatoriali, ricoveri ospedalieri, elenco possessori esenzione per patologia) appare la più ‘fisiologica’ evoluzione dell’iniziativa Annali. Rilevante potrà essere il contributo che ne deriva, non solo per misurare l’efficacia dei differenti percorsi di cura, ma anche per amplificare la possibilità predittiva del Machine Learning e dell’Intelligenza Artificiale, nella direzione di una vera diabetologia di precisione”.


 

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