Incendi, non c’è solo l’Amazzonia. Da inizio 2019 tre milioni di allerte nel mondo

Brucia la Foresta amazzonica, ma anche l’Artico coinvolgendo Siberia, Alaska, Canada e Groenlandia. In fiamme l’isola di Gran Canaria, la seconda più grande dell’arcipelago spagnolo nell’Atlantico. Va a fuoco pure l’Africa, con vasti incendi in Congo e Angolaalmeno da metà luglio. In Italia contiamo quasi 300 roghi da inizio 2019.
Il riscaldamento globale sta rendendo sì, -come conferma anche il World Economic Forum- più diffuse e facili le condizioni che permettono alle fiamme di divamparsi in grandi aree geografiche. Un pianeta sempre più caldo avrà periodi di siccità sempre più lunghi, su aree sempre più vaste. Il suolo e le piante, private dell’acqua, saranno più predisposte a prendere fuoco. E dunque, le ondate anomale di caldo registrato nell’Artico sono tra le cause dei roghi tra Siberia e Alaska. Così anche, per le stesse ragioni, aumenterà l’area bruciata dagli incendi nell’Europa mediterranea.
Un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Earth System Science Data, spiega, infatti che è complesso calcolare quanti incendi ci sono stati nel mondo in un anno. I ricercatori possono infatti costruire i loro modelli dando più rilevanza ai dati delle superfici bruciate, oppure su quelli delle emissioni rilevate nell’atmosfera.
Ad ogni modo, le immagini satellitari in tempo reale sono una buona base. Il Global Forest Watch Fires (Gfwf) ha elaborato da inizio anno i dati della Nasa su tutto il pianeta, arrivando a rilevare oltre 2 milioni e 910 mila “allerte incendio”. Nello stesso periodo del 2018, erano stati quasi 100 mila in meno; nel 2017, circa 200 mila in meno. Sembra, dunque, esserci stato un leggero aumento, anche se nel 2016 e nel 2015 il dato si aggirava intorno ai 3 milioni di allerte incendio in tutto il mondo.
Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite (Omm) il fumo dei roghi in Siberia è arrivato a ricoprire una superficie di circa 5 milioni di chilometri quadrati. Un’area grande più dell’Europa e più della metà degli Stati Uniti. Il programma europeo Copernicus, nel circolo polare artico a giugno 2019, mostrano che i roghi in questa porzione geografica hanno emesso nell’atmosfera 50 milioni di tonnellate di diossido di carbonio, l’equivalente di quelle prodotte in un anno dalla Svezia. Quantità è più grande di quella prodotta da tutti gli incendi registrati in questa zona tra il 2010 e il 2018.
Quanto all’Amazzonia, secondo i numeri del Global Fires Atlas (elaborati sulla base di quelli della Nasa), dal 1° gennaio 2019 ad oggi, in tutta la regione si sono registrati 99.590 incendi, contro i 53.935 dello stesso periodo del 2018. Tra il 1° gennaio 2016 e il 21 agosto 2016 (anno con il dato più lontano nel tempo disponibile) erano però stati di più: 106.404. A fine 2018, il numero totale dei roghi in Amazzonia era stato 192.515, contro i 301.2016 dell’anno precedente.
In Africa, invece, almeno da metà giugno, vasti incendi hanno toccato Congo e Angola. I peggiori incendi degli ultimi 15 anni, dicono gli esperti. L’Angola ha registrato 6.902 incendi, la Repubblica Democratica del Congo 3.395, mentre il Brasile 2.127. Dunque, stando a Copernicus è la regione centrafricana a registrare la maggior parte di incendi di biomasse nel mondo. Gli incendi nell’Africa sub-sahariana rappresentano circa il 70% dell’area bruciata di tutto il mondo.
L’Italia ha registrato da inizio anno, quasi 300 roghi (dati Effis) con 20.395 ettari andati in fiamme. Due anni fa, periodo tra i più siccitosi in due secoli, il dato era assai inferiore. Al tempo si contarono più di 140 mila ettari. Il 2019 però vede il numero dei roghi triplicato rispetto al 2018, se ne sono contati solo 87. In Europa si contano 1.554 di almeno 30 ettari, contro una media decennale di 372, la superficie bruciata è di 260.825 ettari contro una media di 134.900.
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