Caso Regeni, l’atto d’accusa della Procura di Roma che inchioda gli 007 egiziani. Un crimine orrendo fatto di sevizie

E’ un durissimo atto d’accusa, quello della Procura di Roma contro quattro agenti dei servizi di sicurezza egiziani accusati dell’omicidio di Giulio Regeni. L’atto di conclusione delle indagini è stato depositato nella mattinata di giovedì dalprocuratore capo Michele Prestipino e dal pm Sergio Colaiocco, che contestano al maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, oltre al reato di sequestro di persona pluriaggravato, anche il concorso in lesioni personali aggravate e in omicidio aggravato, insieme a lui altri tre agenti dei servizi. L’atto ora finirà nelle mani degli avvocati d’ufficio, visto che i quattro presunti assassini sono irreperibili e probabilmente non si consegneranno mai alle autorità italiane per andare a processo. Ma vediamo il contenuto dell’atto della Procura.
"Per motivi abietti e futili e abusando dei suoi poteri, con crudeltà, cagionava a Giulio Regeni lesioni" e "la perdita permanente di più organi, seviziandolo - si legge nel 415 bis - con acute sofferenze fisiche, in più occasioni ed a distanza di più giorni" attraverso strumenti taglienti e roventi "con cui gli cagionava con numerose lesioni traumatiche a livello della testa, del volto, del tratto cervico dorsale e degli arti inferiori; attraverso ripetuti urti ad opera di mezzi contundenti (calci o pugni e l’uso di strumenti personali di offesa, quali bastoni, mazze) e meccanismi di proiezione ripetuta del corpo dello stesso contro superfici rigide ed anelastiche".
Per nove giorni Giulio Regeni è stato privato della libertà rimanendo nelle mani dei suoi sequestratori, si legge ancora. Tutto è partito, come scrivono i pm nel 415 bis, "a seguito della denuncia presentata, negli uffici della National security, da Said Mohamed Abdallah, rappresentante del sindacato indipendente dei venditori ambulanti del Cairo Ovest". I quattro indagati "dopo aver osservato e controllato direttamente ed indirettamente, dall’autunno 2015 alla sera del 25 gennaio 2016, Giulio Regeni abusando delle loro qualità di pubblici ufficiali egiziani, lo bloccavano all’interno della metropolitana del Cairo e - si legge nell’atto - dopo averlo condotto contro la sua volontà e al di fuori di ogni attività istituzionale, prima presso il commissariato di Dokki e successivamente presso un edificio a Lazougly, lo privavano della libertà personale per nove giorni".
L’omicidio di Regeni fu un atto volontario e autonomo. "Al fine di occultare la commissione dei delitti, abusando dei suoi poteri di pubblico ufficiale egiziano, con sevizie e crudeltà, mediante una violenta azione contusiva - si legge ancora nell’atto in cui viene contestato al maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, oltre al reato di sequestro di persona pluriaggravato, anche il concorso in lesioni personali aggravate e in omicidio aggravato - esercitata sui vari distretti corporei cranico-cervico-dorsali, cagionava imponenti lesioni di natura traumatica a Giulio Regeni da cui conseguiva una insufficienza respiratoria acuta di tipo centrale che lo portava a morte" "Ho visto Giulio ammanettato a terra con segni di tortura sul torace". E’ una delle cinque testimonianze che il sostituto procuratore Colaiocco ha riportato davanti alla commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni.
Il pm titolare dell’inchiesta è stato sentito insieme al procuratore capo di Roma Michele Prestipino. "Ho lavorato per 15 anni nella sede della National Security dove Giulio è stato ucciso. E’ una villa che risale ai tempi di Nasser, poi sfruttata dagli organi investigativi. Al primo piano della struttura c’è la ‘stanza 13’ dove vengono portati gli stranieri sospettati di avere tramato contro la sicurezza nazionale. Il 28 o 29 gennaio e ho visto Regeni in quella stanza con ufficiali e agenti", ha raccontato il testimone. "C’erano catene di ferro con cui legavano le persone, lui era mezzo nudo e aveva sul torace segni di tortura e parlava in italiano. Delirava, era molto magro. Era sdraiato a terra con il viso riverso, ammanettato. Dietro schiena aveva dei segni, anche se sono passati quattro anni ricordo quella scena. L’ho riconosciuto alcuni giorni da foto sui giornali e ho capito che era lui".
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