Cosa prevede il Jobs act
Il contratto a tutele crescenti si applica ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del decreto (dal primo marzo 2015). Si stabilisce una nuova disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi. Per i lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del decreto restano valide le norme precedenti. Per i licenziamenti discriminatori e nulli resta la reintegrazione nel posto di lavoro. Per i licenziamenti disciplinari la reintegrazione resta solo se è accertata “l’insussistenza del fatto materiale contestato”. Negli altri casi in cui si accerti che non ricorrano gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, i cosiddetti “licenziamenti ingiustificati”, viene introdotta una tutela risarcitoria certa, commisurata all’anzianità di servizio (due mensilità per ogni anno di anzianità di servizio, con un minimo di 4 e un massimo di 24 mesi).
Per evitare di andare in giudizio si potrà fare ricorso alla nuova conciliazione facoltativa incentivata: in questo caso il datore di lavoro offre una somma esente da imposizione fiscale e contributiva pari a un mese per ogni anno di servizio, non inferiore a due e sino a un massimo di diciotto mensilità. Con l’accettazione il lavoratore rinuncia alla causa.
Per i licenziamenti collettivi il decreto stabilisce che, in caso di violazione delle procedure o dei criteri di scelta, si applica sempre il regime dell’indennizzo monetario che vale per gli individuali (da un minimo di 4 a un massimo di 24 mensilità). Per le piccole imprese la reintegra resta solo per i casi di licenziamenti nulli e discriminatori e intimati in forma orale. Negli altri casi di licenziamenti ingiustificati è prevista un’indennità crescente di una mensilità per anno di servizio con un minimo di 2 e un massimo di 6 mensilità. La nuova disciplina si applica anche ai sindacati e ai partiti politici.
Si introduce la Naspi, nuova assicurazione sociale per l’impiego. Vale per chi rimarrà disoccupato dal primo maggio 2015 e per tutti i lavoratori dipendenti che abbiano perso l’impiego e che hanno cumulato almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi 4 anni di lavoro e almeno 18 giornate effettive di lavoro negli ultimi 12 mesi. La base retributiva della Naspi sono gli ultimi 4 anni di impiego (anche non continuativo) rapportati alle settimane contributive e moltiplicati per il coefficiente 4.33. La durata della prestazione è pari a un numero di settimane corrispondente alla metà delle settimane contributive degli ultimi 4 anni di lavoro. L’ammontare dell’indennità è commisurato alla retribuzione e non può superare i 1.300 euro. Dopo i primi 4 mesi di pagamento, la Naspi viene ridotta del 3 per cento al mese e la durata prevista è di un numero di settimane pari alla metà di quelle contributive degli ultimi 4 anni di lavoro. L’erogazione della Naspi è condizionata alla partecipazione del disoccupato a iniziative di attivazione lavorativa o di riqualificazione professionale.
Inoltre, in via sperimentale, viene introdotto l’Asdi: un assegno di disoccupazione che verrà riconosciuto a chi, scaduta la Naspi, non ha trovato impiego e si trovi in condizioni di particolare necessità. La durata dell’assegno, che sarà pari al 75 per cento dell’indennità Naspi, è di 6 mesi e verrà erogato fino ad esaurimento dei 300 milioni del fondo specificamente costituito.
Per i co.co.co (iscritti alla Gestione separata Inps) che perdono il lavoro c’è l’indennità di disoccupazione Dis-Col (Disoccupazione per i collaboratori). Presuppone tre mesi di contribuzione nel periodo che va dal primo gennaio dell’anno precedente l’evento di disoccupazione alla data del predetto evento. Il suo importo è rapportato al reddito e diminuisce del 3 per cento a partire dal quarto mese di erogazione. La durata della prestazione è pari alla metà delle mensilità contributive versate e non può eccedere i 6 mesi. Anche questa indennità è condizionata alla partecipazione a iniziative di politiche attive.
A partire dall’entrata in vigore del decreto non potranno essere attivati nuovi contratti di collaborazione a progetto (quelli già in essere potranno proseguire fino alla loro scadenza). Comunque, a partire dal primo gennaio 2016, ai rapporti di collaborazione “personali con contenuto ripetitivo ed etero-organizzati dal datore di lavoro” saranno applicate le norme del lavoro subordinato. Restano salve le collaborazioni regolamentate da accordi collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali.
Vengono superati: i contratti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro e il job sharing. Vengono confermate le seguenti tipologie: contratto a tempo determinato, contratto di somministrazione (per quello a tempo indeterminato si prevede un’estensione del campo di applicazione, eliminando le causali e fissando un limite del 10 per cento sul totale dei dipendenti a tempo indeterminato dell’impresa), contratto a chiamata, lavoro accessorio (detto voucher, verrà elevato il tetto dell’importo per il lavoratore fino a 7mila euro e verrà introdotta la tracciabilità con tecnologia sms come per il lavoro a chiamata), apprendistato (si punta a semplificarlo, riducendone i costi per le imprese), part-time (vengono definiti i limiti e le modalità con cui il datore di lavoro può chiedere al lavoratore lo svolgimento di lavoro supplementare e le parti possono pattuire clausole elastiche o flessibili). Sempre per quanto riguarda il part-time, viene prevista la possibilità di richiederlo in caso di necessità di cura per malattie gravi o in alternativa al congedo parentale.
Inoltre, in presenza di processi di ristrutturazione o riorganizzazione aziendale, l’impresa potrà modificare le mansioni di un lavoratore fino ad un livello, senza modificare il suo trattamento economico. Viene anche prevista la possibilità di accordi individuali, “in sede protetta”, tra datore di lavoro e lavoratore che possano prevedere la modifica del livello di inquadramento e della retribuzione al fine della conservazione dell’occupazione, dell’acquisizione di una diversa professionalità o del miglioramento delle condizioni di vita.
- Conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (decreto legislativo, esame preliminare)
Il decreto interviene, innanzitutto, sul congedo obbligatorio di maternità, al fine di rendere più flessibile la possibilità di fruirne in casi particolari come quelli di parto prematuro o di ricovero del neonato. Il decreto prevede un’estensione massima dell’arco temporale di fruibilità del congedo parentale dagli attuali 8 anni di vita del bambino a 12. Quello parzialmente retribuito viene portato dai 3 anni di età del bambino ai 6, quello non retribuito dai 6 ai 12. Analoga previsione viene introdotta per i casi di adozione o di affidamento.
In materia di congedi di paternità, viene estesa a tutte le categorie di lavoratori la possibilità di usufruire del congedo da parte del padre nei casi in cui la madre sia impossibilitata a fruirne per motivi naturali o contingenti.
Il decreto contiene due nuove disposizioni in materia di telelavoro (benefici per i datori di lavoro privato che vi facciano ricorso per venire incontro alle esigenze di cure parentali dei loro dipendenti) e di donne vittime di violenza di genere (si prevede la possibilità per queste lavoratrici dipendenti di imprese private di astenersi dal lavoro, per un massimo di tre mesi).
Riforma a rischio per assenza Fi e minoranza Pd - Senza FI a Palazzo Madama la riforma costituzionale rischia grosso, visti i numeri risicati della maggioranza e il dissenso della minoranza Pd. E anche la legge elettorale a Montecitorio, sotto il fuoco dei voti segreti, non è al riparo da modifiche. Perciò anche la minoranza Pd invita Renzi a non insistere in forzature: "Si rischia una spaccatura nel partito che avrebbe ripercussioni sul percorso riformatore", avverte Alfredo D’Attorre. Lunedì sera (dopo che in molti torneranno a disertare l’incontro convocato al partito da Renzi su fisco, P.a. e terzo settore) gli esponenti delle diverse aree di minoranza si vedranno per decidere come votare martedì. I bersaniani per "coerenza" dovrebbero confermare il sì, mentre singoli deputati come Pippo Civati e Stefano Fassina non parteciperanno al voto. Renzi, però, non sembra preoccupato. L’Italicum, ripete, non si cambia più: la prossima sarà "la lettura finale". E sulla riforma costituzionale si farà il referendum: allora si vedrà i cittadini a chi daranno ragione.
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