Sfruttavano operai per costruire yacht di lusso: 8 arresti tra La Spezia e Ancona

I Finanzieri del Comando Provinciale di La Spezia hanno eseguito 8 ordinanze di custodia cautelare (7 in carcere e una ai domiciliari) in un’operazione contro lo sfruttamento del lavoro e il caporalato condotta tra La Spezia e Ancona.
Con una serie di controlli su una società operante presso importanti cantieri spezzini che realizzano yacht di lusso, i militari hanno scoperto e disarticolato un sodalizio criminale che sfruttava decine e decine di operai extracomunitari, perlopiù bengalesi, i quali venivano sottopagati e costretti a turni massacranti in un regime di vigilanza minaccioso e violento. Nell’operazione sono stati sequestrati beni per circa 1 milione di euro. L’operazione ha visto coinvolti oltre 50 Finanzieri del Comando Provinciale di La Spezia hanno eseguito 8 ordinanze di custodia cautelare (7 in carcere e 1 ai domiciliari), ed hanno sottoposto a sequestro preventivo oltre 900.000 mila euro in un’operazione condotta tra La Spezia, Savona, Ancona e Carrara. I militari del Gruppo di La Spezia, coordinati dal Procuratore della Repubblica di La Spezia, dott. Antonio PATRONO, hanno disarticolato un sodalizio criminale partendo da una serie di controlli in materia di lavoro nei confronti di una società con oltre 150 dipendenti, perlopiù extracomunitari di provenienza bengalese, operante presso importanti cantieri spezzini che realizzano yacht di lusso. Partendo da alcune anomalie, individuate e segnalate dalla Prefettura di La Spezia, i finanzieri hanno condotto una complessa indagine che ha reso possibile individuare una serie di condotte di sfruttamento, ai danni di decine e decine di operai bengalesi, punite dalla recente normativa a contrasto del caporalato (art. 603 bis c.p.). Al fine di cristallizzare le condotte illecite e individuare i c.d. “caporali”, sono state acquisiti gli orari di ingresso ed uscita al lavoro, testimonianze dei lavoratori e di altri soggetti contigui ed avviate intercettazioni telefoniche ed ambientali, che hanno confermato le gravi condizioni di sfruttamento a cui erano assoggettati gli operai, in un regime di sopraffazione, a volte minaccioso e violento, messo in atto da un sodalizio di altri connazionali e di un italiano. I “capi”, approfittando dello stato di bisogno, sotto-retribuivano gli operai con una paga fissa (c.d. “paga globale”, di 4 o 5 euro l’ora), impiegandoli, senza soluzione di continuità, in attività lavorative pesanti e anche pericolose, come la saldatura, la stuccatura e la verniciatura di imponenti yacht e super-yacht. Inoltre, gli operai erano assoggettati a turni massacranti (fino a 14 ore al giorno senza permessi e riposi), sorvegliati a vista dai “caporali” e spesso minacciati, offesi e percossi. Lo stato di assoggettamento degli operai era favorito dall’imprescindibile necessità di non perdere il lavoro, unico mezzo di sostentamento delle famiglie e unico veicolo per godere di un valido permesso di soggiorno in Italia. Si sono verificati casi in cui, in caso di infortunio sul lavoro, i mal capitati lavoratori erano costretti a fornire una falsa dichiarazione al personale sanitario del pronto soccorso, senza fare alcun riferimento al lavoro svolto. Nei giorni di assenza per malattia, compresi quelli recentemente avvenuti per casi di positività al tampone per il COVID-19, i lavoratori bengalesi non percepivano alcun pagamento, perdendo, di fatto, l’unica fonte di reddito. I Finanzieri del Gruppo di La Spezia, inoltre, hanno svolto numerosi accertamenti bancari effettuati su decine di conti correnti e su carte postepay intestate agli operai che hanno consentito di svelare il particolare sistema adoperato dai caporali: tutte le buste paga ed i relativi versamenti risultavano, ad un primo controllo, conformi, la posizione lavorativa delle maestranze era in perfetta regola e tutto veniva contabilizzato (permessi, turni festivi, ore di lavoro e bonifici per le retribuzioni). In realtà, una volta pagate le buste paga con bonifici bancari, i “caporali” pretendevano, anche con l’uso della violenza e con la minaccia della perdita del posto di lavoro, la restituzione, in contanti, di parte degli emolumenti bonificati, costringendo gli operai a continui prelievi al bancomat.
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