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  • martedì 23 aprile 2024

La Mondadori lancia a Roma il nuovo saggio del Procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri: “Una nuova sfida al Paese”

 


Alla festa che la libreria Mondadori ha organizzato nel cuore di Roma per il lancio ufficiale dell’ultimo libro del Procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri ci saranno non solo giornalisti e magistrati importanti, ma ci sarà soprattutto tantissima gente comune che da anni insegue, e segue, la vita e gli scritti di questo giovane magistrato calabrese che da anni vive una vita di inferno, temuto e minacciato dalle più potenti organizzazione criminali del mondo. Sentite come raccontava se stesso Nicola Gratteri qualche giorno fa a “Otto e Mezzo” dalla Gruber: “Io ho le spalle molto larghe, un sistema nervoso d’acciaio, non ho nessun problema di salute, faccio questo lavoro dal 1986, vivo sotto scorta da trent’anni, non vado a mare da almeno vent’anni, e da vent’anni non vado in un cinema, immagini lei se posso dunque preoccuparmi di queste provocazioni. Sono allenato a qualsiasi cosa, e reggo qualsiasi tipo di provocazione. E soprattutto, non faccio, e non farò mai falli di reazione, perché in Calabria e in Italia ho tanti provocatori che sistematicamente e scientificamente ogni giorno ci provano con me, ma perdono solo tempo. Si devono solo rassegnare, e cercare, ma questo vale per ognuno di noi, di essere onesti”. E a proposito della crisi endemica del sistema giudiziario, sempre in quella occasione, Gratteri non ha fatto altro che ripetere un concetto a lui assai caro: “Noi dovremmo domandarci prima di tutto per quale motivo un fascicolo rimane fermo cinque anni nell’armadio del pubblico ministero, e per quale motivo un fascicolo rimane fermo nell’armadio poi del giudice. È questa la madre di tutte le domande. Cosa vuol dire? Vuol dire che il sistema giudiziario così come è farraginoso, non è assolutamente proporzionato alla realtà criminale del 2019 e quindi vanno fatte mille riforme contemporaneamente. Per il sistema giudiziario serve oggi una vera rivoluzione, naturalmente non sottovalutando mai, e tenendo invece presente e rispettando sempre la Costituzione, e senza mai abbassare il livello di garanzia dell’indagato o dell’imputato. Guai a non fare le riforme che servono e che vanne invece fatte, perché ancora oggi mentre noi stiamo discutendo di tutto e del contrario di tutto, domani mattina almeno quattromila carabinieri si alzano dalla propria scrivania e dalla propria caserma e vanno in giro per l’Italia a fare i messi notificatori. Questo, va sottolineato, in un Paese dove ognuno di noi ha almeno due telefoni, dove tutti siamo collegati in internet, e quando sarebbe bastava creare la posta elettronica certificata per chiunque abbia già compiuto diciotto anni di età, e per chi è indigente lo Stato la paga per lui. Quello che dico è una vecchia denuncia, che ho già fatto mille altre volte verbalmente, ma che ho anche formalizzato nella proposta della Riforma del Processo Penale che era stata chiesta alla mia Commissione di lavoro. Avevamo stilato e messo insieme ben 250 articoli per immaginare di riformare il nostro processo penale, ebbene di quei 250 articoli che la mia Commissione aveva provato a modificare e a riscrivere è passata una sola modifica, parlo del processo a distanza: il detenuto sta in carcere e si collega in video conferenza in udienza. Nessuno lo dice mai, ma solo per questo articolo che alla fine è passato, le camere penali e gli avvocati italiani hanno fatto cinque giorni di sciopero, naturalmente preferisco non immaginare se il legislatore avesse approvato venti o trenta articoli delle cose che la mia Commissione aveva immaginato di cambiare o di riformare. Certamente si sarebbe paralizzata l’Italia. Questo vuol dire che il “nuovo” funziona, perché oggi l’udienza di un processo non inizia anziché alle nove del mattino alle dodici o anche alle tredici perché il furgone che trasporta il detenuto si è rotto per strada, o perché il detenuto durante il viaggio si è sentito male, o perché non c’è la benzina per il tragitto da fare dal carcere al tribunale. Oggi, grazie al lavoro della mia Commissione il detenuto sta al carcere di Tolmezzo, e se deve essere sentito come indagato, come imputato, come semplice testimone, o anche se si deve solo separare con la moglie, lui sta a Tolmezzo e la moglie sta a Catania, e si parlano e si separano in videoconferenza, immagini come è bello tutto questo. Cosa vuol dire? Che alla fine abbiamo risparmiato 70 milioni di euro, e immagini lei con tutti questi soldi quanti concorsi si possono fare per operatori, assistenti, cancellieri, dirigenti, così bisogna ragionare se si vuole far funzionare il sistema, se vogliamo velocizzare o abbassare i costi. Il volume che la Mondadori si prepara a lanciare giovedì in Italia si preannuncia già un best seller, destinato a scalare nel giro di qualche settimana ogni classifica possibile delle vendite. Il segreto di tanto successo preannunciato? E’ senza dubbio la novità assoluta della materia: per la prima volta infatti il più amato e più ammirato dei magistrati italiani si occupa di un mondo che davvero solo in pochi ancora conoscono bene, forse solo lui e di riflesso Antonio Nicaso, è il mondo della Ndrangheta 2.0, la Ndrangheta del futuro, dell’era digitale, dei mercati sommersi, dei rapporti transnazionali, la Ndrangheta della “rete”, la più potente organizzazione criminale del mondo che un tempo usava il sangue per regolare i propri rapporti con il mondo esterno, e che oggi utilizza internet per accordi commerciali e transazioni miliardarie in ogni angolo della terra, con una dimestichezza e una conoscenza della rete che è degna dei migliori esperti di intelligenza artificiale, un pianeta a parte insomma, che solo pochissimi al mondo hanno indagato, e che Nicola Gratteri e Antonio Nicaso ci ripropongono oggi con una freschezza letteraria ed una meticolosità del racconto davvero impressionanti. Lo anticipa lo stesso Nicola Gratteri: “I nuovi boss della’ Ndrangheta di cui parlo nel mio ultimo libro sono degli incensurati, gente al di sopra di ogni sospetto, professionisti che muovono le file degli utili idioti portatori di acqua al mulino del boss, e si trovano non solo in Calabria, ma in Calabria come al centro di Milano, al centro di Reggio Emilia, o di Torino o di Verona, o di qualunque altra metropoli del mondo civilizzato”. Anche in questa occasione e con questo nuovo saggio Nicola Gratteri dimostra di “non temere nulla e nessuno” e di voler proseguire senza fiato e senza sosta la sua infinita lotta alla Ndrangheta, una mission che è diventato ormai il suo mantra e che fa di lui il giudice italiano più conosciuto e più invidiato al mondo. Non c’è oggi televisione internazionale che non abbia raccontato la sua vita di uomo segregato e blindato contro lo strapotere della mafia. Anche nel sordido mondo della criminalità e dell’illegalità la sopravvivenza è regolata dalla legge darwiniana dell’evoluzione e dell’adattamento all’ambiente, come dimostra la storia della ’ndrangheta che, proprio in virtù della sua straordinaria capacità mimetica, è diventata una delle organizzazioni mafiose più ricche e potenti del pianeta. Ma come sono fatti gli ’ndranghetisti del terzo millennio? Come vivono? Come si vestono? Come gestiscono i loro affari? Come si riconoscono? Continuando nel loro infaticabile quanto meritorio tentativo di indagare una realtà criminale sommersa e misteriosa, e di dare un volto agli «invisibili», Nicola Gratteri, magistrato da trent’anni in prima fila nella lotta alla mafia calabrese, e Antonio Nicaso, docente universitario che da trent’anni le dedica la propria attività di studioso, analizzano la ’ndrangheta 2.0, sempre più collusiva e sempre meno violenta, e i suoi rapporti con i centri di potere economico, politico e finanziario, con la massoneria deviata, con il narcotraffico, con il «deep web» e con i social network. Ne descrivono i boss, inclini al basso profilo e ostili ai gesti eclatanti e alle clamorose dimostrazioni di forza, ma attivamente impegnati nello spietato governo del territorio, nella corruzione e infiltrazione delle istituzioni e dell’economia legale e nel soddisfare la «domanda di mafia» legata alla globalizzazione e alla creazione di un unico mercato mondiale, dove imprenditori e operatori economici, in Italia e all’estero, chiedono alla criminalità beni e servizi necessari per abbattere i costi di produzione, elevare i margini di profitto e acquisire competitività. Ma Gratteri e Nicaso raccontano anche l’altra faccia della ’ndrangheta, quella che lascia ora intravedere le prime crepe in un secolare e apparentemente inscalfibile muro di omertà: i rampolli dei boss che si decidono - o convincono i padri - a collaborare con la giustizia, le mogli e le figlie che si ribellano e gli affiliati che non hanno più paura di esibire pubblicamente la loro omosessualità. «Quella contro la ’ndrangheta» concludono gli autori «è una battaglia che è possibile vincere, ponendo mano ai codici nella speranza di trovare una forte convergenza politica su una battaglia di civiltà. Contro mafie e corruzione, due mali endemici che costituiscono una zavorra e una gravissima minaccia sul presente e sul futuro del nostro Paese».


 

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